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WORLD TRADE CENTER
(WORLD TRADE CENTER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 ottobre 2006
 
di Oliver Stone, con Nicolas Cage, Michael Pena, Maria Bello, Maggie Gyllenhaal (Stati Uniti, 2006)
 
Stupiscono le polemiche che accompagnano l'uscita del primo film (assieme all'ottimo, ma del tutto opposto UNITED 93 di Greengrass) che gli americani dedicano all'11 di Settembre. Non fosse che per il fatto che tutto il cinema di Oliver Stone, personaggio ingombrante e autore inconfondibile, si è sempre costruito sulla contraddizione: grandiloquente e impacciato nelle spiegazioni psico-misticheggianti, intrepidamente fustigatore o retoricamente moralista analizzando le ragioni del potere, della storia o della politica. E straordinario verista, nel trascrivere l'istante: la realtà, quella che John Ford consigliava di lasciar perdere per affidarsi alla leggenda. Proprio quel Ford che il regista tira in ballo, assieme a Wyler ed a Frank Capra per rispondere alle critiche: “ Ho raccontato i fatti, non la politica. Non la guerra in Irak. Ma la solidarietà fra la gente comune, di destra o di sinistra, come nelle opere di quei maestri; ho voluto fare un film populista, che mostrasse il lato buono dell'America “.

Avrà in definitiva dato prova di saggezza nel ridurre WORLD TRADE CENTER all'omaggio minimalista e commovente per i due umili vigili del fuoco che si lanciarono nei sotterranei delle due Torri, incuranti del fatto che queste minacciavano di crollare da un momento all'altro? E di tatto, di originalità, evitando geopolitica e terrorismo, strategie globali e complotti: per attenersi alle semplici ragioni del cuore (o a quelle più ambigue del nazionalismo), lui che si è pur sempre reso celebre criticando il Vietnam, Nixon e Kennedy, gli gnomi di Wall Street come i campioni di uno sport divenuto oggetto di consumo? Risposta impossibile, per un cinema che si nutre della propria schizofrenia. Tanto vale profittare, allora, come già è avvenuto con il meglio di Stone (quello di PLATOON, JFK, NIXON, U-TURN o OGNI MALEDETTA DOMENICA) di quel suo modo inimitabile di introdurci al quotidiano della metropoli che come il ferry di Staten Island emerge tranquilla dalla nebbia trasparente, le due torri che ancora si ergono rassicuranti, quella ventina di sopravvissuti che esattamente allo stesso modo delle altre migliaia affrontano serenamente il rito della sveglia e del breakfast; fino a che l'ombra fugace che sapremo essere di un aereo venga a sfregiare lo specchio lucido dei grattacieli, e un vago sussulto a turbare l'ordine delle cose. Sovvertimento straniante in quell'universo esemplare il film, sulle tracce dei due protagonisti precipita all'interno del mostro. Esattamente come in PLATOON, non si tratterà allora più di giungla, e nemmeno di macerie: ma di una inquietudine dilagante, del terrore esalato dal ventre di una civiltà; costruita per rassicurarci, e che scopriamo invece fragile e minacciosa. A quell'inferno oscuro e claustrofobico magistralmente ricreato, fatto di gorgoglii viscerali, dell'eco di sovvertimenti apocalittici che sovrasta le ore interminabili dei due prigionieri, il film oppone un altro universo. Altrimenti rassicurante, nella sua luminosità, prevedibilità cromatica, normalità esistenziale: le abitazioni delle famiglie nei sobborghi ordinati della metropoli. Un ordine già destabilizzato: da quelle attese angosciose di una telefonata, della visita di gente in uniforme che appare sull'uscio, l'incubo che le guerre di Bush non è ancora riuscito a dissipare.

Certo, in tanta immediatezza resa con semplicità quasi disarmante si affacciano aspetti ridondanti, più difficili da condividere.Una sorta di Rambo travestito da marine che ravviva i soccorritori ormai rassegnati per poi preannunciare sfracelli vendicativi; o, ancora, l'apparizione ai malcapitati in agonia di un Cristo parente più del kitsch allucinatorio che del misticismo. Nobody is perfect: come già ripeteva Billy Wilder ad un'altra America che stentava a ritrovare sé stessa.


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